giovedì 24 dicembre 2009

Auguri di Natale

Un semplice post per augurare a tutti Buon Natale! Mi raccomando, in nome dell'Architettura, mangiate tanto così evitiamo di chiamare un ingegnere per collaudare i solai.
Deliziatevi con un video di auguri di Babbo Natale canterino con le sue renne.

domenica 29 novembre 2009

Gli architetti devono pensare le loro opere come se fossimo tutti disabili, non il contrario

Faccio mia una citazione di Tim Berners-Lee, padre insieme a Robert Cailliau del World Wide Web:
"La potenza del Web sta nella sua universalità. L'accesso per chiunque, qualunque disabilità egli abbia, ne è un aspetto essenziale"
Il titolo per così dire provocatorio, nasconde una triste realtà: ancora oggi l'approccio progettuale prescinde dal considerare le disabilità e già a partire dal periodo universitario. Un caso su tutti è il Ponte della Costituzione di Calatrava a Venezia dove è stato previsto solo dopo la costruzione (quindi dopo la presentazione dei progetti, l'approvazione, lo stanziamento dei fondi, la costruzione e l'inaugurazione) un sistema (costoso) per permettere ai disabili di attraversare il ponte. L'errore è alla base ed è concettuale. Si pensano le opere per chi è in grado di camminare per poi trovare uno spazio per fare la rampa per i disabili, quasi come se si volesse dare loro il privilegio di un accesso riservato. Lo stesso discorso vale per le città. Dove le amministrazioni comunali hanno previsto le rampe, hanno dimenticato di dire alle ditte appaltatrici che non è opportuno creare un gradino di asfalto di 15 cm sotto i marciapiedi che inutili e pericolosi per svariati motivi:
  1. Chi è in carrozzella, trasporta un passeggino, cammina con le stampelle, ha enormi difficoltà a scendere e risalire nel poco spazio offerto dalle zanelle stradali;
  2. Il gradino di asfalto è un ottimo trampolino di lancio per tutti quei piloti che quotidianamente percorrono le strade delle nostre città, visto che non esiste più il ciglio del marciapiede che viene di conseguenza a trovarsi allo stesso livello della strada.
Basta poco per evitare queste grossolane "cadute di stile", ahimé poco pubblicizzate anche dai detrattori delle opere pubbliche costose. Esistono norme che vanno rispettate prima dal punto di vista etico e poi da quello normativo per consentire a tutti, qualsiasi disabilità essi abbiano, di usufruire liberamente delle opere architettoniche. Un vincolo non è un limite, ma una sfida.

lunedì 2 novembre 2009

L'eleganza del Liberty


Ho poco da dire se non che adoro questa palazzina Liberty nel comune di Santa Maria Capua Vetere (CE), non lontano dalla stazione ferroviaria. L'ho "scoperta" per caso un giorno che decisi di non guardare solo il marciapiede su cui camminavo e ne sono rimasto folgorato. Purtroppo, se si esclude il palazzo alla sua sinistra (non visibile in foto), la palazzina è circondata dalla mediocre edilizia da speculazione che negli anni l'ha soffocata. Unica magra consolazione è l'assenza di edifici in aderenza sul lato destro lungo la strada, ma il panorama posteriore è deprimente.
Tra l'altro non è l'unica testimonianza del recente passato offuscata dal "costruttivismo" del secondo dopoguerra. Altre testimonianze si trovano nelle stesse condizioni, alcune in condizioni anche peggiori, come la casa del custode dell'Istituto di Incremento Ippico. Nei pressi della villa comunale, lungo il corso Ugo de Carolis, o in Via Mazzocchi, ci sono altri pregevoli esempi che, fortunatamente, hanno avuto sorte migliore visto che si trovano nel centro storico, in cortina con altri edifici di pregevole fattura.

domenica 11 ottobre 2009

Ci siamo persi i classici

Parlavo con un collega, mentre andavamo all'università in macchina, di manga e di tutte le cose curiose che vi accadono. Fra queste l'immancabile scena ai bagni pubblici. Ragionavamo sulla tradizione millenaria del bagno pubblico giapponese, luogo nel quale ci si andava a lavare quando in casa non c'era ancora l'acqua corrente e contemporaneamente si intrattenevano affari e relazioni, e nel quale ancora oggi ci si va quando in casa viene a mancare l'acqua o semplicemente per incontrare amici o rilassarsi. In quel momento dissi: "In Italia non c'è questa tradizione". Avemmo un "tilt" simultaneo: i Romani sono stati gli inventori delle terme nel mondo occidentale, ma noi abbiamo perso questa tradizione. Quelle che oggi vengono chiamate terme sono luoghi di cura, non bagni pubblici. Ed a proposito di bagni pubblici, i Romani hanno anche inventato i "Vespasiani", le latrine pubbliche che sempre di meno si vedono nelle nostre città moderne. Vogliamo parlare dell'indissolubilità del mens sana in corpore sano? Quante scuole in Italia uniscono sport (quello vero, fatto di ginnastica e gioco) e studio come facevano nell'antica Roma? Dobbiamo accontentarci di ammirare le scuole americane che non hanno fatto altro che fare tesoro della cultura classica. I luoghi di incontro come il Foro o la Basilica oggi sono praticamente scomparsi oppure sostituiti da centri commerciali o luoghi non costruiti con questo scopo (una bella eccezione è rappresentata dalla piazza intorno al monumento ai Caduti in Guerra di Caserta).
Non so spiegarmi il perché di questo oblìo. Sarà stato il Medioevo che ha cambiato indirettamente il nostro stile di vita, resta il fatto che la perdita dei classici rappresenta una grossa lacuna nella nostra tradizione

lunedì 31 agosto 2009

Architettura di terra


La settimana scorsa ho fatto una passeggiata nei dintorni di San Potito Sannitico dove è in corso un progetto del prof. Fabrizio Caròla di "architettura di terra" che il professore ha studiato e sperimentato in Africa, tra l'altro con risultati estremamente affascinanti sia per quanto riguarda i risvolti formali, sia per l'integrazione nella cultura del luogo.
Il metodo costruttivo, assolutamente rispettoso dell'ambiente (nessun prodotto chimico artificiale, utilizzo di materiali ottenuti con materie prime prese sul luogo, costruzioni fortemente radicate nel genius loci nel caso delle terre africane o del sud Italia, ma assolutamente adattabili a qualsiasi territorio mediterraneo, estremamente economico data la natura delle materie prime), è molto semplice ed allo stesso tempo geniale: un compasso posto al centro dell'ambiente che, ruotando, suggerisce la posizione dei mattoni per file sovrapposte. Un'esaustiva descrizione, corredata di immagini bellissime e di un filmato, si possono trovare sul sito dell'architetto Jilani Khaldi, attualmente uno dei pochi, se non l'unico che osi e sappia osare in quest'architettura, per far piacere ai cattedratici, "alternativa".

martedì 21 luglio 2009

Meraviglia dell'arco acuto


L'arco è uno dei fondamenti dell'architettura. Elemento caratterizzante dell'architettura etrusca prima e romana poi che lo ha perfezionato, delle architetture romanica e gotica che lo hanno elevato ai massimi splendori formali e tecnici con mille diverse sfumature e varianti, dell'architettura rinascimentale che ne ha rinverdito i fasti. Poi è stato progressivamente sostituito fino a diventare la falsa copia di se stesso con i falsi archi in cemento armato che troppo spesso "veggiamo" nei moderni capolavori dell'edilizia speculativa...
Esempi bellissimi, anche se non utilizzati a fini strutturali, ma solo in maniera formale, sono gli archi ogivali del Duomo di Casertavecchia (CE) formati dall'intersezione di archi a tutto sesto su piedritti alternati uno ad uno: il più semplice esempio di arco, ma anche, secondo me, il più suggestivo, proprio per la semplicità della sua genesi. Sul campanile (in foto) e sulla facciata del Duomo si può trovare un'intera parte del corso di Geometria Descrittiva delle facoltà di architettura.

domenica 14 giugno 2009

Razionalismo a Caserta


Caserta, oltre la Reggia ed oltre i palazzi storici dei quali il più antico risale al '400 (seminario di Falciano), presenta alcuni interessanti esempi di architettura razionalista sia del periodo pre-bellico, sia del periodo post-bellico. Uno fra questi è l'edifico del Genio Civile (in foto) e del "gemello" palazzo dell'Intendenza di Finanza. Quello certamente più famoso è, però, l'ex-Casa del Fascio di P.zza Mercato, gioiellino recentemente riportato alla dignità che merita da un restauro accurato.
Altri palazzi, meno importanti, ma non meno interessanti dal punto di vista architettonico, sono alcune residenze costruite nel centro della città nell'immediato dopo-guerra per ridare ai cittadini le abitazioni che avevano perso a causa del bombardamento subito. Alcuni di questi palazzi, ancora prima degli anni '50, erano dotati di ascensore (un lusso per l'epoca). Ho iniziato una piccola ricerca fotografica di questi pregevoli esempi di architettura razionalista poco conosciuta nella stessa Caserta se non ad alcuni "addetti ai lavori" (siamo fissati su un centro storico che non esiste, o meglio, non è tutto quello che si vuole far credere), promettendomi di pubblicare i risultati sul Web e "se le cose vanno bene" su supporto cartaceo (eufemismo pseudo-modesto per dire: pubblicherò, forse, un libro). Per il momento non anticipo più di tanto del lavoro che ho iniziato in maniera quasi spontanea un bel giorno che ero in centro per commissioni ed il mio occhio fu catturato dalla ringhiera in fasce di ferro con gli spigoli curvati di un palazzo per edilizia economica, particolare che mi ha fatto notare la dignitosa facciata dell'edificio e del suo gemello dirimpettaio. "Chi vivrà, vedrà!"

lunedì 25 maggio 2009

Residenza "di recupero"

Pensavo ad un'idea folle: recuperare vecchie costruzioni, anche inizialmente non destinate a residenze. L'idea, se così si può chiamare, è partita dal rivedere alcune puntate di "Intralci" la pseudo-soap opera di Maccio Capatonda nella quale, le riprese in esterni delle abitazioni dei protagonisti, riprendono una torre piezometrica ed una vecchia costruzione adibita a cabina elettrica di conversione. Un modo strano e folle per recuperare vecchi edifici destinati ad essere abbattuti o, come spesso succede, a restare cadenti fino al crollo completo.

venerdì 24 aprile 2009

Il wine bar lo hanno inventato i romani!

... e non solo il "wine bar", anche il "lounge bar", ed il "bar" in quanto tale, così come la tavola calda che oggi si chiama "fast food" sono di invenzione romana. Mai sentito parlare delle tabernae? Fatevi una passeggiata ai mercati di Traiano a Roma o agli scavi di Pompei per farvene un'idea. In queste tabernae, o termopolia, spesso, oltre al vino di diverse qualità (rossi o bianchi, caldi o freddi, aromatizzati con erbe o una miscela di acqua calda o miele), era possibile mangiare in locali appositi pasti completi o quelle che oggi si chiamano con il nomaccio di "stuzzicherie". Erano frequentati da poveri e ricchi che sceglievano secondo le loro possibilità economiche le tabernae di più alto o di più basso livello. Come oggi, spesso, ai tavoli servivano belle ragazze, perlopiù schiave, che i padroni utilizzavano per fidelizzare il cliente, sia attraverso l'estetica, sia ("si dice") attraverso prestazioni extra-lavorative...
I locali nei quali si poteva mangiare erano anche allietati da muscia dal vivo e nei quali si favoriva l'ozio e l'evasione dal quotidiano, proprio come nei "lounge bar" odierni.
Oggi ci si riempie la bocca con questi termini inglesi, senza sapere che le loro basi sono fortemente radicate nella nostra penisola, ma sono andate perse nel dimenticatoio storico che è la "qultura" italiana moderna.

mercoledì 8 aprile 2009

Sulla ricostruzione

Nei casi di totale distruzione di centri abitati a causa di eventi soprannaturali come l'ultimo terremoto in Abruzzo o eventi bellici, si sente spesso dire dalla gente, non quella direttamente colpita, ma quella che vive altrove e vede e apprende dai media o dal passaparola, che è più importante utilizzare i fondi economici per la ricostruzione delle abitazioni piuttosto che del recupero del patrimonio artistico, prendendosela e spesso sparando a zero sui governi, politica, speculazioni, chiesa. Si sente anche spesso dire, dalla stessa gente, che non si impara mai dagli errori del passato e che ogni volta si ripete lo stesso atteggiamento. Ebbene, la ricostruzione del solo tessuto abitativo, nel passato, ha portato a gravi errori e gravi conseguenze sia urbanistiche, sia sociali, benché, anche all'epoca, chi conosce la materia sociale, proponesse la ricostruzione dell'intero tessuto urbanistico, opere d'arte incluse.
Gli esempi sono lampanti. Terremoto del Belice e ricostruzione (neanche completa) di Gibellina (mappa) con una "new town", per usare il termine di Berlusconi, completamente estraniante ed alienante rispetto al tessuto urbano e sociale del luogo. Ancora ci sono, dopo il terremoto in Irpinia, paesi ricostruiti più a valle, ancora una volta estranei alla cultura popolare, mentre sono esistiti centri, come Sant'Angelo dei Lombardi, per buona parte ricostruiti nell'edilizia abitativa, ma che lasciavano edifici pubblici e di culto ancora in container, capannoni e casette prefabbricate "provvisorie".
L'abitazione, la casa, non termina con il muro perimetrale, ma continua con l'edificio circostante, quello dirimpetto, la strada pubblica e la piazza al termine di essa dove sorge la chiesa parrocchiale o il belvedere o il municipio o il museo o la stazione ferroviaria. Quando si parla della nostra città non si racconta la bellezza della nostra casa, ma si racconta dei luoghi pubblici, della bellezza architettonica o artistica, dell'evento, della piazza. Ecco perché è importantissima la ricostruzione contemporanea dei luoghi d'arte e pubblici, perché è così che la popolazione potrà rivedere o comunque riconoscersi nei luoghi che l'evento soprannaturale ed involontario ha distrutto in un solo istante. Il concetto di "New Town" non dev'essere applicato alla ricostruzione delle abitazioni crollate, ma alla predisposizione di centri temporanei, magari smontabili o riutilizzabili per nuovi insediamenti, evitando di ripetere gli errori urbanistici e urbani degli originali inglesi.

mercoledì 18 marzo 2009

Lessico famigliare

Ascoltavo, alcuni giorni fa, la discussione piuttosto accesa fra un giovane medico cardiologo ed il padre con il livello d'istruzione fermo alla media inferiore. Il tema riguardava la maniera corretta di informare parenti e conoscenti circa un malanno accaduto ad un parente, notizia che era già circolata nei dintorni e che aveva spinto già molte persone a chiedere informazioni, spesso con lo stesso tatto di un dito bruciato con la benzina. Per la cronaca il parente aveva avuto un infarto (e già qui, chi legge, ha potuto pensare al peggio), seppur di lievissima entità e preso in tempo (il parente è a sua volta medico, nello specifico, cardiologo...). Il giovane medico asseriva che era necessario dire che il parente aveva avuto un leggero infarto, ma preso in tempo. Il padre, invece, diceva che agli ignoranti (che ignorano la materia) non si poteva dire la parola infarto per evitare che si pensasse al peggio, ma mitigare l'informazione dicendo che "aveva avuto un piccolo dolore al cuore" e che gli avevano messo "una cosa" per far circolare meglio il sangue. Il medico cercava di convincere il padre che quanto egli affermava si chiamava infarto, mentre il padre si difendeva insistendo che non si poteva usare la parola infarto e che, anzi, bisognava trovare una nuova parola, meno "tragica" per evitare che chi fosse informato dell'accaduto, pensasse immediatamente al peggio non tanto nell'immediato, ma in tempi futuri quando, una volta ristabilito il parente, la gente evitasse di pensare che quella persona avesse subito "una botta" e che non "era più quello di prima". La discussione finì con i contendenti arroccati ognuno nelle proprie convinzioni. A sera, però, ragionando a freddo, il giovane medico diede ragione al padre, ma era troppo tardi: il giorno dopo, già si diceva che quel parente era in coma a causa dell'infarto, qualcuno diceva che non parlava più perché l'infarto colpisce così, chi diceva che con l'infarto si resta scemi, chi che l'infarto fa pisciare sotto in mezzo alla strada, senza contare i soliti sapientoni da bar che facevano il parallelo con la sorte toccata al padre del parente (nonno e suocero dei contendenti) e che fosse ovvio che al figlio sarebbe venuto un infarto e che sarebbe morto allo stesso modo. Insomma i presagi di quel padre si erano avverati, ma non era finita qui. Una volta appreso che il parente era già tornato a casa e che aveva ripreso, rapidamente, tutte le sue attività abituali e che il malanno non aveva portato apparenti strascichi, il "popolo" già era convinto che "allora non è stato un infarto!"...
Tutto questo per dire che il lessico tecnico, scientifico, accademico è "cosa" da "uomini eletti" e non da popolino e soprattutto dovrebbe essere utilizzato nell'ambito della scienza o disciplina cui appartiene. Non credo, infatti, che i medici abbiano chiara comprensione del termine "cedimento strutturale" come gli architetti/ingegneri/geometri non conoscono il vero significato della parola "infarto".
Il buon professionista dovrebbe usare il linguaggio appropriato a seconda del suo interlocutore. Sembra una cosa banale, ma troppo spesso non è così. Ho visto architetti parlare di "Rilievo multidimensionale dell'ambiente antropizzato" a gente ignara del lavoro di rollina metrica e fotocamera digitale, che compivano alcuni di loro sulle proprie abitazioni. E' facile "farsi belli" difronte alla gente comune, ma è meglio conservarsi le belle parole per i momenti consoni. La gente comune va adeguatamente informata, non confusa o trattata come bestia ignorante. Bisogna creare la giusta dose di curiosità in modo che chi ha voglia di saperne di più si informa, chi non ne ha, ha saputo già abbastanza. Quindi, non "Rilievo multidimensionale dell'ambiente antropizzato", ma "Prendere le misure delle case del quartiere/città, compreso il rilevamento del colore degli edifici, del degrado, ecc.". A chi chiederà a che serve prendere il colore, gli si spiegherà con calma il motivo, a chi farà il gradasso non si concederà alcuna soddisfazione: andrà via da solo prima o poi.
In questo modo si sarà più apprezzati nel proprio lavoro, la gente comune avrà almeno un'idea delle innumerevoli tematiche legate all'architettura (e non solo se si estende il discorso anche alle altre discipline), sarà maggiormente consapevole e non sparerà fregnacce a caso, riuscendo a difendere i propri diritti senza correre dietro il porta-meta ed essere usata come "massa pesante" come troppo spesso accade oggi.

martedì 24 febbraio 2009

Laboratorio di progettazione: le residenze...

Ho cominciato, nel secondo trimestre, il laboratorio di progettazione architettonica e urbana. Il tema di quest'anno è la progettazione o la riprogettazione di cortine edilizie su un'area di nostra scelta (periferia degradata, centro storico, ecc.). Al primo anno ho progettato una casa unifamiliare, al secondo delle residenze per abitazioni e per studenti con "intrusione" di esercizi commerciali (facoltativo), al terzo anno altre residenze, benché maggiormente inserite in un contesto urbano esistente... E' rimasto un altro anno soltanto, il quarto, per un laboratorio di progettazione di un edificio pubblico, poi resta la tesi di laurea... So che è impossibile trattare tutte le varietà e le variabili che un edificio pubblico comporta, ma quanto meno studiare un approccio per la progettazione di edifici destinati non a residenza che so, il municipio per un piccolo comune, una teatro, una biblioteca, un museo, la riprogettazione di un edificio storico o degradato ai fini espositivi o museali, una stazione ferroviaria, un albergo, un edificio per un Ente pubblico... Ho paura che da grande saprò progettare solo case...

martedì 20 gennaio 2009

Grandi nomi

Spesso in televisione, sulle riviste specializzate, nei libri di storia dell'architettura, si parla dei grandi nomi, i progettisti illuminati di nuove architetture, mentre è lasciato colpevolmente in secondo piano il "mondo" del restauro architettonico nel quale l'Italia è sicuramente all'avanguardia nel mondo. Nomi come Boito, Giovannoni, Pane, Brandi, ma anche Albini, non compaiono nella storia "ufficiale" anche se le loro opere o le loro teorie rappresentano oggi l'ortodossia del restauro e soprattutto quella storia non dice che molte delle opere classiche, medievali e moderne che si studiano sono il risultato di un restauro, falsando di fatto la stessa storia. Un peccato ed un grave errore. Oggi non potrò più guardare al Monastero di Santa Chiara, al Castello Sforzesco, alla Basilica di Sant'Ambrogio senza pensare alle "mani" che vi hanno operato ed alle modifiche che vi hanno apportato, elegantemente taciute, anzi implicitamente tacciate per autentiche dal poco accorto storico.