venerdì 24 aprile 2009

Il wine bar lo hanno inventato i romani!

... e non solo il "wine bar", anche il "lounge bar", ed il "bar" in quanto tale, così come la tavola calda che oggi si chiama "fast food" sono di invenzione romana. Mai sentito parlare delle tabernae? Fatevi una passeggiata ai mercati di Traiano a Roma o agli scavi di Pompei per farvene un'idea. In queste tabernae, o termopolia, spesso, oltre al vino di diverse qualità (rossi o bianchi, caldi o freddi, aromatizzati con erbe o una miscela di acqua calda o miele), era possibile mangiare in locali appositi pasti completi o quelle che oggi si chiamano con il nomaccio di "stuzzicherie". Erano frequentati da poveri e ricchi che sceglievano secondo le loro possibilità economiche le tabernae di più alto o di più basso livello. Come oggi, spesso, ai tavoli servivano belle ragazze, perlopiù schiave, che i padroni utilizzavano per fidelizzare il cliente, sia attraverso l'estetica, sia ("si dice") attraverso prestazioni extra-lavorative...
I locali nei quali si poteva mangiare erano anche allietati da muscia dal vivo e nei quali si favoriva l'ozio e l'evasione dal quotidiano, proprio come nei "lounge bar" odierni.
Oggi ci si riempie la bocca con questi termini inglesi, senza sapere che le loro basi sono fortemente radicate nella nostra penisola, ma sono andate perse nel dimenticatoio storico che è la "qultura" italiana moderna.

mercoledì 8 aprile 2009

Sulla ricostruzione

Nei casi di totale distruzione di centri abitati a causa di eventi soprannaturali come l'ultimo terremoto in Abruzzo o eventi bellici, si sente spesso dire dalla gente, non quella direttamente colpita, ma quella che vive altrove e vede e apprende dai media o dal passaparola, che è più importante utilizzare i fondi economici per la ricostruzione delle abitazioni piuttosto che del recupero del patrimonio artistico, prendendosela e spesso sparando a zero sui governi, politica, speculazioni, chiesa. Si sente anche spesso dire, dalla stessa gente, che non si impara mai dagli errori del passato e che ogni volta si ripete lo stesso atteggiamento. Ebbene, la ricostruzione del solo tessuto abitativo, nel passato, ha portato a gravi errori e gravi conseguenze sia urbanistiche, sia sociali, benché, anche all'epoca, chi conosce la materia sociale, proponesse la ricostruzione dell'intero tessuto urbanistico, opere d'arte incluse.
Gli esempi sono lampanti. Terremoto del Belice e ricostruzione (neanche completa) di Gibellina (mappa) con una "new town", per usare il termine di Berlusconi, completamente estraniante ed alienante rispetto al tessuto urbano e sociale del luogo. Ancora ci sono, dopo il terremoto in Irpinia, paesi ricostruiti più a valle, ancora una volta estranei alla cultura popolare, mentre sono esistiti centri, come Sant'Angelo dei Lombardi, per buona parte ricostruiti nell'edilizia abitativa, ma che lasciavano edifici pubblici e di culto ancora in container, capannoni e casette prefabbricate "provvisorie".
L'abitazione, la casa, non termina con il muro perimetrale, ma continua con l'edificio circostante, quello dirimpetto, la strada pubblica e la piazza al termine di essa dove sorge la chiesa parrocchiale o il belvedere o il municipio o il museo o la stazione ferroviaria. Quando si parla della nostra città non si racconta la bellezza della nostra casa, ma si racconta dei luoghi pubblici, della bellezza architettonica o artistica, dell'evento, della piazza. Ecco perché è importantissima la ricostruzione contemporanea dei luoghi d'arte e pubblici, perché è così che la popolazione potrà rivedere o comunque riconoscersi nei luoghi che l'evento soprannaturale ed involontario ha distrutto in un solo istante. Il concetto di "New Town" non dev'essere applicato alla ricostruzione delle abitazioni crollate, ma alla predisposizione di centri temporanei, magari smontabili o riutilizzabili per nuovi insediamenti, evitando di ripetere gli errori urbanistici e urbani degli originali inglesi.