domenica 4 luglio 2010

Vivere la (in) città

In quest'ultimo periodo ho scritto poco, ma in compenso ho studiato molto.
Di pomeriggio, in queste giornate assolate, dovendo avere le finestre aperte, sono continuamente invaso dai rumori dell'ex-periferia nella quale abito, ex perché lo sviluppo urbano ed il piano del traffico l'hanno ormai inglobata nel centro cittadino. Poco resta delle strade tranquille di una decina di anni fa e poco è possibile fare oggi di quello che si faceva un tempo. C'era chi, nei cortili condominiali, "faceva i pomodori", cioè preparava le conserve, oppure giocava in cortile o nelle strade poco affollate. Cambiano i tempi.
Una cosa però è rimasta, la cui radice va probabilmente cercata in tempi ancora più remoti. Ancora oggi balconi, terrazze e per chi li ha, giardini, vengono utilizzati come una sorta di corte aperta. Gruppi di familiari di tre-quattro-cinque persone spesso con bambini piccoli, usano "prendere il fresco" nelle ore serali, in giardino o sul balcone e, tra una parola e l'altra, osservano il passaggio delle auto o degli anziani con le loro badanti sui marciapiedi: corti private e spesso rialzate. Vociare di bambini, voci di anziani, sedie che si spostano, tintillio di bicchieri con bibite fresche, è questo il suono della vita all'aria aperta, memore di uno stile di vita che fu. Sono infatti le persone più anziane che hanno conservato questa abitudine popolare che una volta, con i loro nonni, praticavano nei cortili paesani e che ancora si ritrova nei paesini e nei villaggi di quella che di fatto è l'area metropolitana di Caserta. Spesso ci si siede sul balcone per leggere un libro, disegnare, dipingere, parlare al telefono.
In città si cerca di ovviare alla mancanza di spazio riutilizzando quegli elementi concepiti più per l'affaccio che per la vita sociale, unendo ambedue le necessità della veduta, del controllo (nel senso di appartenenza) e della comunità.