venerdì 19 marzo 2010

"Architettura italiana sotto il Fascismo - L'orgoglio della modestia contro la retorica monumentale 1926-1945"

Il mio articolo (ormai vecchio di quasi due anni) su Carlo Melograni ha avuto per me un risvolto piacevole: il professore, dopo averlo letto, mi ha contattato telefonicamente (il mio numero di casa lo avrà avuto da un angelo, che so...) per ringraziarmi e per informarmi che mi avrebbe fatto dono di un suo libro. A dire il vero avevo già messo fra i desiderata il titolo in oggetto e per mia immensa fortuna è stato proprio questo il dono inviatomi.
Il titolo sembrerebbe annunciare un altro testo di storia dell'architettura di un periodo controverso della storia italiana, ma il sottotitolo ne da un indirizzo nuovo e la dedica a Terragni e Banfi, Beltrami, Giolli, Labò e Pagano, lascia intuire contenuti nient'affatto usuali. Un libro che è "un resoconto dell'architettura italiana durante venti anni", quei venti anni, scritto da un architetto non da uno storico, libero dunque del tipico stile da "librone" e più propenso, vista anche la lunga attività professionale dell'Autore, alla comprensione dei fattori umani e sociali che hanno guidato le scelte progettuali, spesso scaturite da incarichi di "ripiego".
Il resoconto è un tutt'uno dall'inizio alla fine. La premessa pone le basi, i capitoli intermedi raccontano, con parole chiare, gli entusiasmi e le difficoltà dei giovani laureati nelle neonate facoltà di architettura, i concorsi pubblici ed i progetti, le sperimentazioni (sembra quasi di vederli, giovani alle prese con i primi progetti, buttare giù schizzi, disegnare, realizzare tavole, rifarle daccapo, producendo comunque architettura), gli imperdonabili sventramenti e le irreparabili distruzioni degli ambienti monumentali sulla base della falsa retorica della rinascita della Roma Imperiale con la conseguente caduta delle loro illusioni. Non c'è mai, in tutto il testo, una presa di posizione da parte dell'Autore, che lascia, invece che i "suoi" personaggi parlino da soli. Sono moltissime, infatti, anche le citazioni, soprattutto di Pagano e Persico, due figure di grandissimo livello allora che hanno lasciato un'eredità di pensieri, molto spesso drammaticamente lungimiranti, che li rendono attuali anche ad oltre sessant'anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale (per Persico, troppo prematuramente scomparso nel '36, addirittura di anni ne sono passati di più, ma è fin troppo attuale perché lo si lasci, oggi, colpevolmente dimenticato). Emergono, continui, l'entusiasmo prima e lo scontro dialettico poi, gli slanci e le delusioni, gli sforzi di chi cercava una vera nuova architettura e chi si limitava a proporre uno stile di regime più consono alla crescita della "collezione" di incarichi ufficiali.
Le pagine finali presentano una sorta di bilancio, raccontando brevemente, così come sono state le loro vite, le sorti dei nomi più importanti dell'architettura italiana, della profonda crisi di Terragni dovuta agli orrori della guerra ed alle delusioni del Fascismo nel quale aveva sempre creduto e della sua scomparsa a quarantun anni, della definitiva rinuncia ai fasci del colonnello Pagano, dei suoi contatti con i partigiani, dell'arresto e della disperazione nella sua cella, rilevata e schizzata, pensandone anche una trasformazione in abitazione e della successiva fine a Melch dopo essere transitato per Mauthausen (mica da casa sua!), della misera fine di Giorgio Labò fucilato mentre il padre lo cercava disperatamente da quattro giorni, della scomparsa di Gian Luigi Banfi a Gusen e del progetto dei BBPR (i suoi amici non vollero mai togliere la prima B dal nome del gruppo) e realizzazione del monumento, trionfo dell'antiretorica, ai caduti nei campi di sterminio. E' questa umanità che rende diverso ed unico questo testo: non solo la mera storiografia in sé, ma anche e forse soprattutto, il lato umano, raccontato con lo stile di una lunga conversazione.
Ma il testo si chiude con alcune considerazioni finali che, partendo dalle esperienze degli anni della ricostruzione, spiega come, una malintesa specificità disciplinare non abbia consentito di apprendere la lezione del disegno dell'oggetto d'uso quotidiano, strettamente connesso con la progettazione architettonica e urbana e legato ai bisogni ed ai desideri di vita di tutti i giorni, e di tradurlo in progetti di scala più grande nei quali, poi, è lentamente, ma inesorabilmente, scomparsa la centralità dell'uomo.