martedì 25 ottobre 2011

(ri)scoprire una città

Domenica 25 ottobre ho visitato, come non facevo da tempo, una città dimenticata, ma non in rovina, una città che secondo le terminologie contemporanee sarebbe una "Città d'arte", dove l'arte c'è ed è accompagnata dalla cultura e non solo quella di chi la cultura la fa. Una città quasi millenaria eppure troppo poco conosciuta se non per la malavita del suo intorno, del suo "agro".
Aversa è una città bellissima, nel senso più puro del termine. Conserva ancora, nella planimetria ed in certe sistemazioni urbane, i segni delle origini normanne, anche se nel corso degli ultimi cinquant'anni le (ill)logiche speculative, politiche e post-terremoto hanno segnato, spesso definitivamente ed irreparabilmente, il tessuto prima urbano e poi urbanistico. Basti pensare che il centro, nel senso vero del termine, dalle origini più antiche, è stato sventrato ed è stata realizzata quella che sembra essere una piazza, straniante, poco frequentata perché inospitale. Eppure era, nella pianta concentrica, il posto più denso della città. Il "vero centro" oggi è una strada, Via Roma, da Nord a Sud fino all'angolo con Piazza Municipio, ma basta scostarsi un po' verso il duomo  per rivedere certi scorci, certi resti inglobati e stratificati, i palazzi nobiliari, ancora i "sedili", luoghi coperti con volte a crociera che le famiglie di notabili si facevano costruire nei pressi dei loro palazzi per discutere dei loro affari.
I "centri concentrici", i nuclei più antichi sono ancora abitati sebbene si avverta già un lento declino, un inesorabile spopolamento. Chi ancora vi abita non vive appieno quei luoghi, ma si sposta lungo la via-centro summenzionata e non potrebbe fare altrimenti. Non saprei dire quanto attivi siano i negozi, ma molti sono chiusi con le saracinesche rotte o che presentano i segni della lunga serrata.
Ma c'è pur vita. Giunto in Piazza San Domenico, dove via Santa Marta sfocia nella piazza, lungo il segno lasciato dalle mura angioine, c'erano delle persone sedute su alcuni gradini che parlavano tra loro. Mi hanno visto fotografare e hanno interrotto per un attimo la loro conversazione, poi hanno ripreso a parlare come se la mia presenza con una fotocamera fosse usuale oppure come se, ed è quello che credo, fossero lieti se non lusingati che quel tratto della loro città finisse negli archivi fotografici di qualcuno. Non mi hanno interrotto o disturbato chiedendomi, più o meno minacciosamente, cosa stessi facendo, mi hanno semplicemente lasciato fare. Anche Peppe, la presona che ho conosciuto quel giorno dopo aver visitato brevemente il porticato, orrendamente restaurato, del chiostro di San Domenico. Mi ha parlato del dispiacere suo e della congrega di cui fa parte per l'incuria in cui è stata lasciata la chiesa di S. Domenico: pulita fuori, mutilata e distrutta dentro (rubati tutti gli altari!). Mi ha anche parlato, con la passione semplice di chi parla di un proprio figlio, della sua città, del palazzo del '500 in cui abita, del dirimpettaio Palazzo Azzolini, della Porta Carrese oggi tompagnata ed inglobata in un palazzo. E' un cittadino che conosce bene il luogo in cui abita. Si lamentava, però, del fatto che le amministrazioni succedutesi negli anni, avessero spostato i loro interessi mondani verso la via-centro, relegando quell'area antica a qualcosa che si accostava più al dormitorio o all'attraversamento anonimo.
E difatti la via-centro è molto più viva essendo aperti buona parte dei negozi anche di domenica. Non ci sono urla e schiamazzi per strada, piuttosto famiglie intere a passeggiare a piedi essendo la strada, insieme ad alcuni isolati intorno, area pedonale. Una via-centro molto lontana dall'essere tangente al nucleo più antico messo in disparte, che necessiterebbe di maggior cura, non urbanistica, ma culturale. C'è da dire che durante la settimana, essendo Piazza S. Domenico sede del Giudice di Pace, il passaggio veicolare la fa da padrona anche se dovrebbe essere il contrario per la delicatezza del palazzo due-trecentesco che lo ospita.
C'è gente che vuole vivere la propria città, che ne conosce i pregi e i difetti, che teme la sua morte, che non vuole venga oltraggiata. Ma i sentimenti semplici di chi vive in un luogo non fanno breccia nelle politiche di governo del territorio, troppo distante dal governo e troppo vicino, se non contiguo, al territorio (nel senso "animalesco" del termine).