lunedì 23 novembre 2020

Fate presto


"Mamma, il lampadario balla"
"E lascialo ballare..."
Così mi rispose mia madre quella sera del 23 novembre 1980 mentre infilava il pigiama a me bambino di 4 anni, steso sul lettino. Poi, all'improvviso, mio padre gridò dalla cucina:
"Bri' (Brigida), Bri'! Curri!" (Brigida, Brigida! Corri!)
Mia madre la prese come la solita chiamata che le faceva per farle guardare qualcosa di interessante alla televisione, soprattutto servizi al Tg, tant'è vero che gli rispose candidamente:
"Aspié! Stongo a mettere 'u piggiama 'o criaturo!" (Aspetta! Sto mettendo il pigiama al bambino!)
"Bri', sta a fa 'u tarramoto!" (Brigida, sta facendo il terremoto!)
Quello che ricordo del momento in cui mia madre prese coscienza di quello che stava accadendo è che mi ritrovai in braccio a lei nell'ingresso del nostro appartamento dove c'era già mio padre con mia sorella di 2 anni in braccio e poi giù a capofitto per le scale; e per fortuna abitavamo (e abitiamo) al primo e ultimo piano del condominio. Poi ricordo che misero me e mia sorella in auto, una Opel Kadett grigio topo, da dove vedevo altra gente correre per strada morta di paura. Quando anche mia madre si mise in auto le chiesi cosa fosse il terremoto e lei mi rispose:
"Se ne cadono le case!"
Mi misi a guardare casa mia in attesa che questo terremoto la facesse crollare: me la vedevo "scarrupata" pietra per pietra e immaginavo queste pietre quadrate e rettangolari, tutte squadrate, rotolare l'una sull'altra, rimbalzando, fino a far scomparire la casa in un cumulo di pietre; pietre di tufo come quelle del muro di recinzione del condominio e di tutti gli altri condomini del mio quartiere costruito dall'INA Casa fra metà anni '50 e inizi anni '60.
Subito dopo, anche mio padre entrò in auto perché insieme ai miei zii che abitavano (e ancora abitano) nel mio stesso condominio, ma in un'altra scala, decisero di spostarci in un'area allora campestre a Casagiove, nell'attuale Via Madonna di Pompei. Mia madre, che allora fumava, confessò l'esigenza a mio padre chiedendogli di andarle a prendere la borsa con le sigarette e i giubbotti mio e di mia sorella. Mio padre le rispose che, presa dalla foga di fuggire, non si era accorta che passando nell'ingresso aveva di fatto svaligiato l'intero attaccapanni, prendendo borsa, giubbotti, sciarpe, cappelli e anche un ombrello, il tutto mentre aveva me in braccio.
Arrivati nel luogo campestre, raggiunti anche dagli zii e dai cugini e dove trovammo anche altre persone, comiciò subito a girare la voce che avremmo passato la notte in auto. Uno dei miei cugini, per rassicurarmi, mi disse che avremmo acceso anche il fuoco come facevano gli indiani del West, così, quando passò la paura e si decise di ritornare a casa, non volevo andarmene perché volevo accendere questo fuoco, ma non ci fu verso e ritornammo tutti a casa.
Non accadde nulla, né a noi, né alle nostre case. Ricordo che qualche tempo dopo vennero delle persone che mio padre disse (a mia madre) essere del Genio Civile. Uno di loro diede due martellate al soffitto in un punto in cui c'era una fessura nell'intonaco mettendo a nudo il laterizio del solaio e disse a mio padre che non c'erano problemi. Almeno per noi non ci furono problemi, però le ricordo bene le immagini terribili ai Tg delle "case cadute" a causa del terremoto, anzi ricordo solo le pietre, le case non ero in grado di riconoscerle.
Dopo 5-6 anni, andai con mio padre per una "missione" per la Regione Campania (era impiegato presso il Servizio del Personale della Regione Campania) a Sant'Angelo dei Lombardi, uno dei centri più martoriati dal terremoto. Ricordo benissimo che, appena giunti alle prime case, c'erano ancora i container, le macerie da rimuovere, le case crollate, e quelli che avendo una disponibilità finanziaria più ampia, avevano provveduto da soli lasciando inalterati i ruderi della loro casa perché non potevano essere ancora rimossi.
Poi è arrivata la ricostruzione e i soldi a pioggia con la politica, l'imprenditoria e la camorra che giravano senza ombrello.