mercoledì 27 febbraio 2013

Abilitato: e ora?

A giochi fatti (l'abilitazione è ormai in tasca benché indossi un paio di calzoni che ne è privo) è giunto il momento di chiedermi che architetto sarò e, soprattutto, se sarò realmente un architetto. I titoli fanno il professionista, secondo le norme italiane, ma non donano automaticamente la sapienza del mestiere e soprattutto non dicono nulla sul suo pensiero, sulle sue inclinazioni, sulla sua cultura, sulla sua sensibilità.
Il mio pensiero ricorrente, formatosi negli anni in cui mi occupavo di programmazione web, precisamente di usabilità e accessibilità dei siti, quando la legge Stanca non esisteva ancora, è che l'architettura (all'epoca il sito web) deve essere accessibile a tutti, qualsiasi disabilità egli abbia, concetto che ho dichiarato per la prima volta in sede di discussione tesi. Proprio per dare a chiunque la possibilità di 'usare' l'architettura, è necessario che il progetto nasca già con l'idea di base che chiunque se ne possa servire liberamente. Sembra banale, ma in troppi edifici, anche di nuova progettazione dove la legge sull'abbattimento delle barriere architettoniche non è un valore aggiunto, ma un vincolo necessario all'approvazione amministrativa, si vedono rampe per disabili relegate negli angoli o raggiungibili con il doppio del cammino, questo perché si considerano utilizzabili solo da chi sta in carrozzella, quando invece è molto più probabile che la utilizzi un anziano con il bastone o un un bel giovane con una gamba rotta e le stampelle. Ed accade anche quando si tengono in secondo piano coloro ai quali è indirizzata l'opera rispetto alla valenza formale ed estetica e si realizzano scaloni per superare grandi altezze, relegando gli ascensori in un angolo nascosto, quasi a voler celare una situazione fisica che si crede imbarazzante. Il concetto di 'rete-umana' e di 'web-accessibility' è stato alla base del progetto di tesi: non vuole essere una mera autocitazione, ma un riprendere le fila di un discorso in embrione.

L'architettura deve 'servire', deve essere 'utile' e deve 'funzionare'. Il funzionalismo cieco degli anni '60 teneva in considerazione solo l'ultimo di questi aspetti ed i risultati erano già sotto gli occhi di tutti e sono diventati drammatici nel corso degli anni. Un esempio che mi viene al momento è quello della stazione ferroviaria di Napoli Centrale: un poligono irregolare gettato in una piazza, funzionale solo a se stesso - come stazione ferroviaria appunto - cupo e desolato. Nel corso degli anni ha subito delle integrazioni, ma solo negli ultimi dieci anni sta cercando di entrare di più nella città, riscattandosi dal ruolo primigenio di confine fra dentro-Napoli e fuori-Napoli.
A chi serve l'architettura? A chi la utilizza prima di tutto, sempre che funzioni. Ancora la stazione di Napoli può essere presa ad esempio. Prima dei lavori di ammodernamento, in stazione si andava esclusivamente per prendere il treno. Era un passaggio rapido dal marciapiede di Piazza Garibaldi (dentro-Napoli) al marciapiede del binario (fuori-Napoli), giocando il solo ruolo di intermediario fra la situazione di pedone e quella di passeggero. Chi serve? La risposta non è unica: serve chi la richiede (prendere il treno), chi non l'ha richiesta (non prendere il treno) e chi l'avrebbe richiesta (prenderebbe il treno). In definitiva serve i passeggeri, ma serve o deve servire anche chi il treno non deve prenderlo.
Infine, l'architettura è utile quando 'funziona' e 'serve' nel senso di servizio, ma anche di utilità. Un discorso ricorsivo apparentemente banale, ma basti pensare a cosa possa essere la stazione di Napoli se funzionasse a dovere, servisse alla grande, ma fosse inutile perché nessuno prendesse il treno, preferendo altri mezzi di trasporto o perché altre stazioni già assolvono egregiamente il loro compito e la Centrale fosse solo un sovrappiù. Utile è anche quando non è solo un passaggio, ma un luogo di incontro, di sosta o di meta finale. Librerie, servizi, esposizioni, installazioni, spazi per concerti, luoghi di riunione, sono solo una parte delle numerose possibilità che può offrire un'architettura pensata e realizzata per soddisfare altri bisogni. Nel caso della stazione, poi, l'incontro breve o il semplice passaggio, può essere facilitato dai servizi esistenti (bar, ma anche sale di incontro/discussione/attesa). Non un semplice luogo di passaggio quindi, ma di piena vitalità urbana.
Questa è solo una prima base del mio pensiero sull'architettura che è ancora in costruzione, basato già su alcuni punti fermi. Mi tocca costruirci intorno un discorso per il quale sto già cercando i vocaboli giusti.

P.S.
Ammetto di essere 'vagamente' vitruviano

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